1. Inserire titolo qui
    qui e qui

    AvatarBy slice il 22 Feb. 2016
     
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    E qui. Sì, lo so, sono una frana con i titoli... Lasciamo perdere. Ricordo che sono quella con una storia dal titolo "Pane, latte, uova, pazienza, carta igienica". Oppure non ricordiamocelo, che è meglio.
    Ma perché sono qui?
    Ah! Sono qui perché mi hanno detto che è passato troppo tempo dall'ultimo post; me lo ha detto Valeria, prendetevela con lei. uu
    Comunque. Non volevo scrivere niente perché credevo di non avere niente da dire e invece poi mi si è accesa una lampadina.
    In questo periodo mi sto deprimendo e abrutendo un sacco perché mi annoio fortissimo e vorrei far notare a Poletti che, nonostante i tanti bei discorsi e gli schiocci al culo dell'elettorato, la disoccupazione è ancora una spina nel fianco dei giovani che, vorrei far notare a tutto il minestrone e non solo al Ministro del lavoro, sono effettivamente il futuro dell'Italia, così come del mondo.
    Questo anche per chiarire subito che a) non sarà un post facile, b) Valeria se ne pentirà presto, se non si è già pentita, c) non so rimanere in tema neanche se ne dipende la mia stessa vita.
    Ecco, il succo è che mi annoio e quando mi annoio in questo modo non riesco a fare nemmeno quello che di solito mi piace fare.
    Circa una settimana fa ci siamo messi in tre a cercare di dare un aspetto civile alla cantina. Ho pulito cose inutili e le ho rimesse a occupare spazio dove le avevo trovate, ma ho anche pulito e ordinato il mio banco da lavoro. Il famoso banco da lavoro non è altro che un magnifico tavolo con le gambe di legno e il piano in marmo, che qualche zia di mio padre o altro parente ci ha lasciato, una roba figa che inspiegabimente se ne sta in cantina per permettere a un divano esageratamente largo e stupidamente comodo di fare presenza nel centro del salotto. Non fatemi cominciare a parlare della poltrona: l'inutilità a volte assume forme apparentemente utili per confonderci. È così che conquisterà il mondo.
    Insomma, adesso ho un lustro banco da lavoro in cantina, potrei fregare una sedia da qualche parte, sottrarla all'esercito di panni che si nasconde dai sudati (sudisti?) in casa mia, e mettermi a fare qualcosa. Ho un sacco di acrilici, dei pennelli un po' nuovi e poi ho pure la mia fedele colla a caldo. Non lo so, potrei semplicemente improvvisare.
    Ma no, niente, non mi va, non so cosa farci con tutta quella roba, mi verrebbe voglia di incollarmi a caldo le orecchie al cranio... Meglio di no.
    Poi c'è la batteria. Una meraviglia, prova schiacciante che l'uomo sa fare veramente qualcosa, nera e ammaliante, una Pearl da jazzisti. Crash, Ride, charleston, cassa, rullante, timpano, tom alto e tom basso. O tom e jerry, come li chiamavo un tempo. Tempo. Mai saputo tenerlo, però che figo un semplice quattro quarti quando mi riusciva bene e quel poveretto del maestro annuiva pure.
    Mio padre vorrebbe che me ne disfassi, ma io la amo, c'ho fatto l'amore una volta e m'è rimasta nel cuore. Abbiamo suonato insieme in un teatro una sera ed è rimasto un amore epico. Lui la detesta perché prende polvere e occupa spazio, io la tengo perché avevo sedici anni, odiavo tutti, volevo suonare la batteria e l'ho fatto. A sedici anni lavoravo già dall'anno prima, avevo dei soldini in tasca e mi sono comprata una batteria da jazzisti usata per ovviare a soldi e spazio, la pagai 500 euro o forse 500mila lire, boh, e poi mi pagai anche le lezioni, due anni di lezioni. Lo feci nonostante la scuola, il lavoro estivo e il manifesto malcontento dei miei genitori. Non volevano che lo facessi e io volevo farlo di più. Ecolo lì, uno dei simboli più brillanti della mia ribellione adolescenziale che prende polvere in cantina. Dovrei davvero disfarmene, solo per farla suonare ancora da qualcuno che la amerà da capo.
    O potrei riprendere a suonarla io, magari questa volta imparare veramente a leggere le note.
    Niente, nemmeno quella. Due settimane fa mi ci metto a sedere dopo anni, faccio solo un gran casino tanto per farlo e una delle bacchette mi parte dalla mano come se non avessi più il pollice opponibile. Una tragedia.
    Ma c'è Louise. La mia splendida 2cv charleston 600... Fffffffffff. Amo quella macchina, ma accenderla d'inverno vuol dire essere masochisti. Certo, la uso, ma se devo andare a fare un giro tanto per fare qualcosa allora preferisco prenderne una moderna. Louise ha i miei stessi tempi, solo che io non espello pm10. Prima va levato il telo, poi la accendo, apro il cancello, la porto fuori, chiudo il cancello, rimango ad aspettare cinque minuti perché si scaldi e rischio l'asfissia per il monossido. Lo si può fare giusto nei giorni di vento.
    Sì, lo so che non è così tragica, ma ho il ciclo e tutto è enormemente tragico. Uffa.
    Scrivere. Scrivere mi emoziona. Si dice che bisognerebbe vivere quello che scriviamo, bisogna ridere quando facciamo della comicità, piangere nei momenti tristi delle nostre storie e via dicendo, e io lo faccio. Poi entra mia madre per chiedermi se voglio dei fagiolini per cena e io gli rispondo con una frase della storia mentre scrivo NO sul testo... Odio i fagiolini!
    C'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nello scrivere senza avere una vita, sarebbe più sano scrivere di tue esperienze piuttosto che inventarti cagate immani sui funghi che litigano. Forse. Cioè, non ci sono regole precise; credo che la prima e unica vera regola della scrittura sia "Scrivi." e mi sembra perfettamente logico. Poi però mi rendo conto che non ho i mezzi per scrivere cose vere e non so se mi interessa. Non voglio scrivere di quando sono andata all'estero, dei rapporti interpersonali, delle vicissitudini di un tizio che va a scuola, lavora, si sposa, ha figli, lavora, va in pensione e poi muore, non me ne frega un cazzo se la sua è una vita normale, normale fa schifo, tenetevelo! Voglio scrivere di Shikaku e Genma che si baciano! Di Gintoki che cerca di insidiare un parfait! Di unicorni scazzati e tartufi pirla, voglio scrivere un dialogo tra lapidi, un bisticcio tra le maglie appese a un banco del mercato, voglio una scena madre di un paguro sulla battigia circondato da conchiglie. Voglio scrivere tutto questo e mi incazzo perché quando mi annoio in questo modo non sono neanche capace di scrivere le mie cazzate.
    E invece scrivo post in cui dico che non riesco a scrivere... Che rabbia.
    Vorrei un lavoro.
    Lo so che lo dico sempre, ma mica diventa meno vero, eh! Solo che qui mi essicco. Sono pigra, troppo pigra, il mio procrastinamento olimpionico mi tiene più incollata alla sedia del peso del mio culo, ma non è che quando invece mi muovo si vedono dei risultati. Poi, oh, son dieci anni che cerco lavoro, mi sono rotta i coglioni... Un disoccupato, dovrebbero mettere al ministero del lavoro, altro che Poletti. Sa un cazzo lui... NOOOOOOH. Basta, non voglio rifare gli stessi discorsi.
    Vado a scrivere di due nuvole che si baciano! Cia'

    Edited by slice - 27/1/2018, 23:10
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  1. Davide11
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    CITAZIONE (slice @ 22/2/2016, 02:03) 
    E qui. Sì, lo so, sono una frana con i titoli... Lasciamo perdere. Ricordo che sono quella con una storia dal titolo "Pane, latte, uova, pazienza, carta igienica". Oppure non ricordiamocelo, che è meglio.
    Ma perché sono qui?
    Ah! Sono qui perché mi hanno detto che è passato troppo tempo dall'ultimo post; me lo ha detto Valeria, prendetevela con lei. uu
    Comunque. Non volevo scrivere niente perché credevo di non avere niente da dire e invece poi mi si è accesa una lampadina.
    In questo periodo mi sto deprimendo e abrutendo un sacco perché mi annoio fortissimo e vorrei far notare a Poletti che, nonostante i tanti bei discorsi e gli schiocci al culo dell'elettorato, la disoccupazione è ancora una spina nel fianco dei giovani che, vorrei far notare a tutto il minestrone e non solo al Ministro del lavoro, è effettivamente il futuro dell'Italia, così come del mondo.
    Questo anche per chiarire subito che a) non sarà un post facile, b) Valeria se ne pentirà presto, se non si è già pentita, c) non so rimanere in tema neanche se ne dipende la mia stessa vita.
    Ecco, il succo è che mi annoio e quando mi annoio in questo modo non riesco a fare nemmeno quello che di solito mi piace fare.
    Circa una settimana fa ci siamo messi in tre a cercare di dare un aspetto civile alla cantina. Ho pulito cose inutili e le ho rimesse a occupare spazio dove le avevo trovate, ma ho anche pulito e ordinato il mio banco da lavoro. Il famoso banco da lavoro non è altro che un magnifico tavolo con le gambe di legno e il piano in marmo, che qualche zia di mio padre o altro parente ci ha lasciato, una roba figa che inspiegabimente se ne sta in cantina per permettere a un divano esageratamente largo e stupidamente comodo di fare presenza nel centro del salotto. Non fatemi cominciare a parlare della poltrona: l'inutilità a volte assume forme apparentemente utili per confonderci. È così che conquisterà il mondo.
    Insomma, adesso ho un lustro banco da lavoro in cantina, potrei fregare una sedia da qualche parte, sottrarla all'esercito di panni che si nasconde dai sudati (sudisti?) in casa mia, e mettermi a fare qualcosa. Ho un sacco di acrilici, dei pennelli un po' nuovi e poi ho pure la mia fedele colla a caldo. Non lo so, potrei semplicemente improvvisare.
    Ma no, niente, non mi va, non so cosa farci con tutta quella roba, mi verrebbe voglia di incollarmi a caldo le orecchie al cranio... Meglio di no.
    Poi c'è la batteria. Una meraviglia, prova schiacciante che l'uomo sa fare veramente qualcosa, nera e ammaliante, una Pearl da jazzisti. Crash, Ride, charleston, cassa, rullante, timpano, tom alto e tom basso. O tom e jerry, come li chiamavo un tempo. Tempo. Mai saputo tenerlo, però che figo un semplice quattro quarti quando mi riusciva bene e quel poveretto del maestro annuiva pure.
    Mio padre vorrebbe che me ne disfassi, ma io la amo, c'ho fatto l'amore una volta e m'è rimasta nel cuore. Abbiamo suonato insieme in un teatro una sera ed è rimasto un amore epico. Lui la detesta perché prende polvere e occupa spazio, io la tengo perché avevo sedici anni, odiavo tutti, volevo suonare la batteria e l'ho fatto. A sedici anni lavoravo già dall'anno prima, avevo dei soldini in tasca e mi sono comprata una batteria da jazzisti usata per ovviare a soldi e spazio, la pagai 500 euro o forse 500mila lire, boh, e poi mi pagai anche le lezioni, due anni di lezioni. Lo feci nonostante la scuola, il lavoro estivo e il manifesto malcontento dei miei genitori. Non volevano che lo facessi e io volevo farlo di più. Ecolo lì, uno dei simboli più brillanti della mia ribellione adolescenziale che prende polvere in cantina. Dovrei davvero disfarmene, solo per farla suonare ancora da qualcuno che la amerà da capo.
    O potrei riprendere a suonarla io, magari questa volta imparare veramente a leggere le note.
    Niente, nemmeno quella. Due settimane fa mi ci metto a sedere dopo anni, faccio solo un gran casino tanto per farlo e una delle bacchette mi parte dalla mano come se non avessi più il pollice opponibile. Una tragedia.
    Ma c'è Louise. La mia splendida 2cv charleston 600... Fffffffffff. Amo quella macchina, ma accenderla d'inverno vuol dire essere masochisti. Certo, la uso, ma se devo andare a fare un giro tanto per fare qualcosa allora preferisco prenderne una moderna. Louise ha i miei stessi tempi, solo che io non espello pm10. Prima va levato il telo, poi la accendo, apro il cancello, la porto fuori, chiudo il cancello, rimango ad aspettare cinque minuti perché si scaldi e rischio l'asfissia per il monossido. Lo si può fare giusto nei giorni di vento.
    Sì, lo so che non è così tragica, ma ho il ciclo e tutto è enormemente tragico. Uffa.
    Scrivere. Scrivere mi emoziona. Si dice che bisognerebbe vivere quello che scriviamo, bisogna ridere quando facciamo della comicità, piangere nei momenti tristi delle nostre storie e via dicendo, e io lo faccio. Poi entra mia madre per chiedermi se voglio dei fagiolini per cena e io gli rispondo con una frase della storia mentre scrivo NO sul testo... Odio i fagiolini!
    C'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nello scrivere senza avere una vita, sarebbe più sano scrivere di tue esperienze piuttosto che inventarti cagate immani sui funghi che litigano. Forse. Cioè, non ci sono regole precise; credo che la prima e unica vera regola della scrittura sia "Scrivi." e mi sembra perfettamente logico. Poi però mi rendo conto che non ho i mezzi per scrivere cose vere e non so se mi interessa. Non voglio scrivere di quando sono andata all'estero, dei rapporti interpersonali, delle vicissitudini di un tizio che va a scuola, lavora, si sposa, ha figli, lavora, va in pensione e poi muore, non me ne frega un cazzo se la sua è una vita normale, normale fa schifo, tenetevelo! Voglio scrivere di Shikaku e Genma che si baciano! Di Gintoki che cerca di insidiare un parfait! Di unicorni scazzati e tartufi pirla, voglio scrivere un dialogo tra lapidi, un bisticcio tra le maglie appese a un banco del mercato, voglio una scena madre di un paguro sulla battigia circondato da conchiglie. Voglio scrivere tutto questo e mi incazzo perché quando mi annoio in questo modo non sono neanche capace di scrivere le mie cazzate.
    E invece scrivo post in cui dico che non riesco a scrivere... Che rabbia.
    Vorrei un lavoro.
    Lo so che lo dico sempre, ma mica diventa meno vero, eh! Solo che qui mi essicco. Sono pigra, troppo pigra, il mio procrastinamento olimpionico mi tiene più incollata alla sedia del peso del mio culo, ma non è che quando invece mi muovo si vedono dei risultati. Poi, oh, son dieci anni che cerco lavoro, mi sono rotta i coglioni... Un disoccupato, dovrebbero mettere al ministero del lavoro, altro che Poletti. Sa un cazzo lui... NOOOOOOH. Basta, non voglio rifare gli stessi discorsi.
    Vado a scrivere di due nuvole che si baciano! Cia'
     
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